Sono le ore 8 di venerdì mattina, ci ritroviamo come di consueto nel parcheggio degli Impianti Memo Geremia, ma questa volta non si tratta di una partita, bensì di vivere la vita. Ci salutiamo con i genitori, alcuni sorridenti, altri visibilmente tesi facendo trasparire la sensazione di abbandono del figlio, c’è aria di festa ma allo stesso tempo la tensione è palpabile: per alcuni è la prima volta in aereo, per altri la prima volta lontani da casa. Continuo a salutare i ragazzi che stanno arrivando ed il mio sguardo incontra due occhi azzurri come il cielo, ma arrossati dalle lacrime per aver appena salutato la famiglia, chiedo se è tutto a posto e lui digrignando i denti e trattenendo le lacrime annuisce, confortato dagli amici si allontana: ha così inizio la nostra avventura.
Arrivati a Londra, il tempo di darsi una rinfrescata e di lamentarsi per le piccole stanze e partiamo alla volta del Tower Bridge sperimentando cosa vuol dire muoversi in una metropoli con 50 bambini. Dopo una breve sosta decidiamo di dividerci in gruppi per visitare la City. Costeggiamo il Tamigi e notiamo subito i colletti bianchi fuori dai PUB con la birra in mano all’insegna del tipico fine settimana inglese. Rientrati in ostello, lauta cena ed alcune raccomandazioni per la notte. Ci salutiamo inconsapevoli che andremo a dormire solo dopo mezzanotte causa la necessità di relazione dei ragazzi desiderosi di visitare ogni stanza dei compagni di squadra.
Il giorno successivo sveglia alle 7.00, abbondante colazione, e via con la metro verso Covent Garden e Trafalgar Square, dove la nostra guida Paolo ci intrattiene con alcune notizie sui monumenti. Proseguiamo verso Buckingam Palace dove uno sbandieratore di “Union Jack” sul viale che porta al palazzo ci riporta alla memoria le bandiere rossoblu Polesane, stimolando sentimenti corali che rievocavano il clima dell’ultimo derby. Dopo una breve sosta per ammirare il curioso abbigliamento delle guardie reali ci dirigiamo verso gli impianti del Rosslyn Park RFC, per disputare il nostro primo “test match”. Apparentemente la squadra inglese sembra fisicamente debole presentando giocatori molto slanciati e nessun giocatore che abbia abusato di carboidrati. Breafing allenatori: ci vengono spiegate le loro regole che sostanzialmente sono indirizzate, nel migliore stile inglese, a far muovere la palla evitando manipoli di bambini attorciliati attorno al pallone; troviamo una intesa sulle regole da applicare ed iniziamo i test match. Fin dal calcio di inizio ammiriamo lo stile e l’eleganza dei passaggi, del gioco al largo, del sostegno, cerchiamo quindi di scimmiottare il loro gioco senza attaccare la linea, preoccupandoci più di curare il passaggio che del guadagno territoriale. Finisce il primo tempo sotto un caldo inusuale (circa 27° gradi), riordiniamo le idee e torniamo con i piedi per terra concentrandoci sul fare cose semplici e aggressive. Le partite volgono a ns favore e riusciamo ad esprimere un buon rugby, inteso, aggressivo, di squadra … ricevendo i complimenti degli allenatori e dei responsabili e guadagnando la stima dei padroni di casa. Stanchi ed affamati veniamo rifocillati in clubhouse, costretta poi a chiudere la cucina causa la ns insaziabile fame …
Con lo spirito pieno di orgoglio per la buona prestazione, ci dirigiamo a Piccadilly Circus, per un’invasione pacifica di “Lilliwhite” noto store sportivo inglese, facendo la felicità del direttore commerciale, acquistando tutto ciò che aveva lontanamente una parvenza di rugby, anche i “cinesini” da allenamento (per precisione qualcuno ha anche comprato dei polsini del Barcellona F.C. ed abbigliamento completo del Chelsea, ribadendo che la palla rotonda scorre nel ns sangue italiano). Cena tipica a base di “fish and chips” e tutti a nanna; le partite ed i quasi 20 km di cammino in giro per la città si fanno sentire, alle 22 silenzio surreale!
La mattina seguente, valige, colazione e partiamo alla volta degli impianti del Wimbledon RFC inconsapevoli della meraviglia che da li a poco sarebbe apparsa davanti alla nostra vista. Metropolitana, treno e 30 minuti a piedi con le valigie ed arriviamo ai meravigliosi campi di Wimbledon. Qui non esistono barriere, i campi sono tutti aperti ed accostati l’uno all’altro (ne ho contati dieci, due un po particolari il primo in salita ed il secondo inclinato lateralmente), avvolti da un bosco in una atmosfera quasi fiabesca. Non abbiamo nemmeno il tempo di assaporare fino in fondo ciò che ci circonda che siamo costretti a cambiarci in fretta per non sgarrare con le rigorose tempistiche inglesi. Ci stringiamo tutti assieme, sparisce il male ai piedi, spariscono le nostalgie di casa, sparisce la stanchezza per far posto all’orgoglio di onorare la maglia ed uscire a testa alta indipendentemente dal risultato. A parte una nostra squadra che ha preso il largo nel punteggio, le altre due partite si dimostrano all’altezza delle aspettative distinguendosi per intensità, aggressività e tenacia con durate di gioco a cui non siamo abituati. Ciò che andrà in campo sarà una vera battaglia che rievoca le epiche gesta del popolo anglosassone, con impatti fisici di alto livello e che ci vedrà avere la meglio sugli inglesi. Fieri di aver giocato un buon rugby, dopo abbracci e foto di rito, doccia veloce e tutti in clubhouse per le premiazioni dei man of the match delle 6 squadre, scelti dai rispettivi capitani.
Rimaniamo qualche ora nella fantastica cornice di Wimbledon dimenticando volontariamente che da li a poco avremo dovuto sopportare l’ultima fatica del rientro in aeroporto. Atterrati a Venezia veniamo accolti da un applauso dei genitori che intravedono nei nostri volti la stanchezza unita alla gioia di aver vissuto qualcosa di magico, speciale, indefinito.
Ci portiamo a casa la consapevolezza che il mondo ovale è diverso da quello che viviamo in Italia, lo sport non rappresenta un momento di svago ma una parte integrante della vita inglese, fatta di cose semplici, di assenza di pressioni, dell’assenza di infrastrutture sul campo che sanciscono il rispetto di genitori e sostenitori per i giocatori in campo. Allo stesso tempo ritorniamo con un grande bagaglio di esperienza e di vita, dove i protagonisti sono stati una cinquantina di ragazzi che hanno voluto gridare al mondo che hanno bisogno di essere lasciati liberi di crescere, liberi di sbagliare, liberi di scegliere, liberi di divertirsi … Probabilmente nei prossimi anni alcuni abbandoneranno questo fantastico sport, ma la certezza è che si ricorderanno di quel gruppo di ragazzini padovani , che in una calda giornata di aprile, hanno avuto l’arroganza di tenere testa a due prestigiosi club inglesi …
Rugbisti non si nasce, ma lo si rimane per tutta la vita … Queste brevi righe le dedico a Paolo e a tutti coloro che hanno messo cuore, entusiasmo e tanto tempo, per permettere ai nostri figli di vivere un’avventura che porteranno nel cuore per tutta la vita.
di Nicola Crivellari – Allenatore